(Dott.ssa Laura Ricci)
Lo sviluppo motorio è importantissimo nei primi anni di vita di un bambino: il corpo è lo strumento principale con cui esplora l’ambiente che lo circonda ed apprende. Il movimento è il punto di partenza per lo sviluppo delle funzioni mentali fin dalle prime fasi di vita. Azioni e movimenti hanno un ruolo centrale nei processi di rappresentazione mentale, processi fondamentali anche per lo sviluppo del linguaggio.
Verso i 3-4 anni si assiste all’affinamento delle abilità motorie e all’apparire della “preferenza di lato” che, prima dei 7 anni, diverrà la dominanza laterale definitiva, che contribuirà in maniera fattiva a maturare la capacità di mantenere l’equilibrio.
Tra i 2 e i 6 anni i tessuti muscolari aumentano di peso e volume: forza e velocità aumentano considerevolmente, la coordinazione dei movimenti si affina ma è più lenta a definirsi, il battito cardiaco diventa più stabile e più lento, la pressione del sangue aumenta e la respirazione diventa più profonda e meno rapida. Tutto ciò rende il bambino in età prescolare più resistente allo sforzo fisico, gli consente una vasta gamma di movimenti e fa sì che sia più consapevole della propria forza e controlli maggiormente il proprio corpo.
Osservare la qualità del movimento di un bambino consente di valutare il buon funzionamento del sistema cognitivo e neuro-muscolare, così come le competenze relazionali ed emotive. Se lo sviluppo si dovesse presentare disarmonico durante lo sviluppo è quindi necessario prestare attenzione alla presenza di eventuali caratteristiche “disarmoniche” e sapere di avere la possibilità di chiedere una valutazione ad un esperto del settore (psicomotricista).
Giocare allo sport e allenarsi alla vita
Che esista una correlazione positiva tra l’aumento della attività motoria, l’accelerazione dello sviluppo psicomotorio e il miglioramento delle funzioni intellettuali è un dato confermato da molti studi di settore.
Il numero di cellule e nuclei muscolari presenti nell’adulto è determinato dalla loro moltiplicazione in età infantile, in riferimento alla attività fisica praticata.
Per ogni fascia di età l’attività fisica proposta deve essere proporzionata alla fase di sviluppo fisico e psicologico del bambino: nella prima infanzia qualsiasi attività motoria deve essere proposta in una dimensione di gioco che preveda un impegno graduale e progressivo.
Il gioco contribuisce allo sviluppo delle strutture nervose, in particolare alla corteccia frontale che è deputata alla valutazione delle conseguenze delle nostre azioni, al rispetto delle regole, al senso di colpa, alla generosità, al senso di solidarietà e amicizia. Giocando i bambini imparano a conoscere le potenzialità del proprio corpo. (Oliverio, Oliverio Ferraris 2004)
Il bambino impara a confrontarsi attraverso il gioco; lo sport è un gioco ritualizzato.
Anche il Ministero della Pubblica Istruzione afferma (con la direttiva n°17 del 9/2/2007): “L’attività motoria e la pratica sportiva, attraverso una corretta azione interdisciplinare, contribuiscono allo sviluppo e alla promozione della cultura della legalità attraverso la pratica del rispetto dell’altro, delle regole e del fair play. Lo sport scolastico, infatti, rappresenta una significativa fonte di esperienza per tutti i giovani, capace di costruire uno “Stile di vita salutare” permanente, di favorire una maggiore integrazione sociale ed apertura ai rapporti interpersonali, di assumere ruoli e responsabilità precise”.
Ma lo “sport scolastico” ha, in effetti, un ruolo di secondo piano rispetto alle altre discipline curricolari e, d’altra parte, i tempi lavorativi di molti genitori non consentono di avere a disposizione molto tempo condiviso in famiglia, ne consegue l’esigenza di impegnare i figli in diverse attività pomeridiane; ecco allora che i bambini vengono inseriti in contesti sportivi privati sempre più precocemente: a 3 o 4 anni seguono già uno sport più volte a settimana. Alcuni genitori propongono uno sport ai propri figli come sano passatempo, altri come pratica sportiva da seguire a tutti i costi, altri ancora si affidano in toto agli allenatori che incontrano: inizia allora il percorso agonistico (o di avviamento all’agonismo), più o meno desiderato dai bambini stessi.
Campioni si nasce o si diventa?
“Agonismo significa emergere con fatica e non diventare campioni. Ottime 2 o 3 ore di palestra a settimana. Poca competizione, grande beneficio fisico” (G. Bollea)
Il desiderio di primeggiare, di assumere un ruolo, di farsi valere è comune a tutti ma deve essere in qualche modo conosciuto e controllato. L’agonismo è una caratteristica propria dell’attività sportiva ma non deve essere confuso con l’antagonismo, cioè vincere ad ogni costo: l’agonismo deve essere affrontato come esperienza di crescita individuale e come consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, cercando di vivere l’attività sportiva senza ansia o stress.
E’ sempre più frequente che già a partire dai 7/8 anni la pratica sportiva diventi un’attività agonistica, per soddisfare le aspettative dei genitori, degli allenatori o delle società sportive: un bambino a quella età ha una grande resistenza fisica ed energie inesauribili ma questo non basta a fare di loro dei piccoli campioni. Servono anche molto impegno e grandi responsabilità che non sempre hanno e non è neanche giusto chiedere per evitare che ne escano sfiniti senza la passione necessaria e il giusto nutrimento per il fisico e per l’anima.
Ancora a questa età si dovrebbe parlare di gioco sportivo dove i bambini lavorano divertendosi, dove si concede spazio all’apprendimento tecnico e delle regole attraverso delle mini-competizioni di squadra o individuali.
Rispetto alla scelta dello sport da praticare bisognerebbe seguire le naturali inclinazioni del bambino e lasciare che sia lui a scegliere, dopo aver sperimentato diverse discipline sportive, lo sport in cui specializzarsi. Una specializzazione precoce è di solito dannosa perché comporta un notevole carico di ansia e superallenamento che conduce quasi sempre all’abbandono. Lo sport scelto deve valorizzare le caratteristiche individuali e le qualità fisiche e costituzionali del bambino.
L’attività agonistica, quando segue la passione del ragazzo, è appropriata a partire dai 12 anni: si devono prediligere lavori a carico naturale o con piccoli attrezzi, attività basate sull’equilibrio e la coordinazione, senza sovraccaricare le articolazioni e la colonna vertebrale. L’agonismo prepara i giovani, oltre che fisicamente, anche come persona abituandoli all’impegno, alla costanza, alla conoscenza dei propri limiti e (eventualmente) di come superarli, li aiuta a canalizzare le energie in eccesso tipiche dell’età e a scaricare la tensione fisica in modo positivo, alimenta il senso di appartenenza ad un gruppo, una squadra o una federazione che è un aspetto centrale nell’adolescenza. In questo periodo i ragazzi hanno bisogno di sentirsi parte di qualcosa, di assumere un ruolo all’interno del gruppo dei pari e se l’ambiente sportivo è accogliente e familiare faciliterà il proseguimento della “carriera sportiva”.
Il successo sportivo dipende da molti fattori (genetici, psicologici, ambientali, familiari e sociali) e non tutti i ragazzi, a prescindere dall’impegno dimostrato, diventeranno dei campioni ma sicuramente con un ambiente familiare e sportivo facilitante apprenderanno i benefici dello sport, a livello fisico ma anche come arricchimento nell’apprendimento e negli studi.
Praticare uno sport a livello agonistico comporta inevitabilmente delle rinunce da parte dei ragazzi, un impegno notevole e un forte senso del dovere (allenarsi per molte ore a settimana trascurando le comuni attività dei coetanei e mantenere un buon rendimento scolastico). Nella riuscita e nel mantenere alta la motivazione dei ragazzi hanno un ruolo importantissimo i genitori: devono sostenere ma non esasperare l’agonismo, guidarli nel successo e nell’insuccesso sportivo così come li guidano e li sostengono nel rendimento scolastico, non manifestare aspettative troppo elevate, partecipare in maniera giocosa, dare il giusto peso alla sconfitta e alla vittoria.
E’ importante, da parte di genitori ed allenatori, fornire giusti rinforzi rispetto all’impegno dimostrato ed evitare un eccessivo carico di allenamento e di agonismo e, soprattutto, cogliere in tempo le manifestazioni che possono condurre alla perdita di interesse, all’eccessivo carico di responsabilità e aspettative: i più frequenti segnali di disagio sono l’ansia, l’irritabilità, i disturbi del sonno. Ogni attività se portata all’estremo conduce ad uno stato di disagio e allora il miglior lavoro che istruttori e genitori possono fare insieme è lasciare che i giovani campioni siano loro stessi e ce la mettano tutta senza pressioni, lasciandogli dimostrare il loro sapere, saper fare, saper essere.
CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO NELLO SPORT
1. Diritto di divertirsi e giocare come un bambino
2. Diritto di fare lo sport
3. Diritto di beneficiare di un ambiente sano
4. Diritto di essere trattato con dignità
5. Diritto di essere allenato e circondato da persone qualificate
6. Diritto di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi
7. Diritto di misurarsi con giovani che abbiano la stessa probabilità di successo
8. Diritto di partecipare a gare adeguate
9. Diritto di praticare il suo sport nella massima sicurezza
10. Diritto di avere tempi di riposo
11. Diritto di non essere un campione
Riferimenti bibliografici
Carta dei diritti del bambino nello sport, UNESCO, Service des Loisirs, Geneve,1992
Adelia Lucattini “Sport bambini: l’agonismo fa male?”, D-Repubblica.it-Benessere 2013
Alberto Oliverio, Anna Oliverio Ferraris “Le età della mente”, Rizzoli 2004
Franco Panizon “Bambini e sport agonistico”, www.uppa.it